Stalking

Stalking

IL CASO: Stalking, il reato si configura anche in assenza del “mutamento delle condizioni di vita”. Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di condanna per il reato di atti persecutori in danno della ex moglie separata, la Corte di Cassazione (Cassazione penale, sez. V, sentenza 21 febbraio 2017, n. 8362) – nel respingere la tesi difensiva secondo cui i fatti sarebbero stati riconducibili al reato di molestie per non essersi verificata alterazione delle abitudini di vita, che non può essere integrata da un generico stato d’ansia -, ha ribadito il principio per cui ove la condotta dello stalker sia fonte di continuo stato d’ansia e di timore per l’incolumità propria e dei familiari della vittima, non è essenziale, ai fini della configurabilità del reato, anche il mutamento delle abitudini di vita, costituendo la stato d’ansia e il mutamento delle abitudini di vita eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.

A cura della Redazione Wolters Kluwer

Prima di soffermarci sulla, interessante, pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l’art. 612 bis c.p., sotto la rubrica «Atti persecutori», punisce “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, con la reclusione da sei mesi a cinque anni la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal:
coniuge, anche separato o divorziato,
o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa
ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se:
il fatto è commesso a danno di un minore
di una donna in stato di gravidanza
o di una persona con disabilità di cui all’art. 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104
ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, comma 2 c.p.. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Orbene, per quanto qui di interesse, occorre evidenziare che le condotte reiterate, minacciose o moleste, devono cagionare (infelice l’espressione “in modo da”: Macrì, Modifica della disciplina delle circostanze aggravanti e nuovo delitto di “atti persecutori”, 2009, 824) un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima, oppure un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da una relazione affettiva, oppure l’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa. Il delitto prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo (Cass. pen. sez. V, 24 settembre 2015, n. 43085; Cass. pen. sez. III, 20 novembre 2013, n. 6384; Cass. pen. sez. V, 10 ottobre 2013, n. 5206; Cass. pen. sez. V, 27 novembre 2012-15 maggio 2013, n. 20993; Cass. pen. sez. V, 22 giugno 2010); il delitto differisce dai reati di molestie e di minacce per la produzione di un evento di “danno” o, in alternativa, di un evento di “pericolo” (Cass. pen. sez. III, 16 gennaio 2015, n. 9222).

L’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Cass. pen. sez. V, 5 novembre 2014, n. 51718). Ai fini della configurazione del delitto non è poi essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (Cass. pen. sez. V, 19 maggio 2011).

Laddove il soggetto passivo assecondi il comportamento dell’agente, ad esempio rispondendo alle telefonate di quest’ultimo, deve ritenersi insussistente l’elemento oggettivo del reato (Cass. pen. sez. III, 18 marzo 2015-7 marzo 2016, n. 9221). Peraltro, gli atti persecutori integrano un delitto ad evento di danno, poiché dal comportamento dell’agente deve derivare uno degli eventi alternativamente richiesti (Cass. pen. sez. V, 5 giugno 2012, n. 39519; Cass. pen. sez. V, 5 febbraio 2010).

Al riguardo, il reato di cui all’art. 612 bis può essere riconosciuto a carico di colui che, con condotte reiterate, osserva con atteggiamento minaccioso e segue ossessivamente presso il luogo di lavoro la ex coniuge, ingenerando nella donna un perdurante e grave stato d’ansia e costringendola a modificare le proprie abitudini di vita; o nella condotta di colui che, dopo aver ricevuto, da parte della vittima, dei rifiuti a delle richieste sessuali, inizi a perseguitarla con telefonate continue, pedinamenti, appostamenti presso l’abitazione e minacce gravi all’incolumità della donna e ai suoi beni, ingenerando nella stessa un grave timore per la propria incolumità e costringendola a non uscire più di casa o a farlo di nascosto; o nel caso di ripetute condotte di appostamento, comportamenti intenzionali finalizzati alla molestia, con effetto di provocare disagi psichici, timore per la propria incolumità e per quella delle persone care, pregiudizio delle abitudini di vita.

Tanto premesso, nel caso in esame era emerso che l’ex coniuge aveva posto in essere una serie di minacce e vessazioni nei confronti della moglie separata. Per circa un anno, in particolare, si erano susseguiti pedinamenti, appostamenti nei pressi del luogo di lavoro, reiterate minacce alla donna di taglio della testa e di sbudellarla come un cane e ad un amico della stessa di morte se non l’avesse lasciata stare perché ‘roba sua’. L’imputato aveva sostenuto che il fatto fosse riconducibile alla previsione di cui all’art. 660 c.p. per non essersi verificata alterazione delle abitudini di vita, che non può essere integrata da un generico stato d’ansia, mentre erano state poste in essere condotte moleste tipiche di uno scenario di separazione personale.

La Cassazione, invece, nell’affermare il principio di cui in massima, ha invece evidenziato come dalla terribile ricostruzione di quanto accaduto, era emerso che la condotta dell’imputato fosse la fonte di continuo stato d’ansia e di timore per l’incolumità propria e dei familiari della p.o., ciò che era stato confermato da numerosi testi oculari, non essendo quindi essenziale, ai fini della configurabilità del reato, anche il mutamento delle abitudini di vita (peraltro risultante dagli atti), dovendosi rilevare che la relativa previsione è alternativa, tra l’altro confondendo l’imputato il mutamento delle abitudini con lo stato d’ansia, che costituiscono appunto eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:
Art. 612 bis c.p.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 21 febbraio 2017, n. 8362

Avvocato Francesco Murru
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