Il Chewing Gum non è lo Spazzolino

Il Chewing Gum non è lo Spazzolino

Il Tar conferma la multa Antitrust: Il chewing gum non sostituisce lo spazzolino È legittimo il provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sanzionato alcune ditte produttrici di chewing gum, per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta, consistita nella diffusione di numerosi messaggi promozionali incentrati sui benefici salutistici derivanti dal consumo degli stessi, specificamente per l’igiene orale e dentale (antitartaro, anticarie e antiplacca) e tali da suggerire una sostanziale assimilazione dell’uso delle gomme da masticare pubblicizzate all’utilizzo dello spazzolino e del dentifricio e all’intervento del dentista, senza suffragare tale messaggio con prove scientifiche.

Con sentenza 3 gennaio 2017, n. 62, Il Tar capitolino ha respinto il ricorso proposto da alcune società produttrici di gomme da masticare avverso il provvedimento sanzionatorio irrogato nei loro confronti dall’Agcm, fornendo importanti precisazioni in ordine alla competenza dell’Autorità stessa a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale nel caso in cui la stessa sia consistita nella diffusione di messaggi promozionali caratterizzati dall’utilizzo di indicazioni sulla salute non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni di cui al regolamento CE n. 1924/2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (cd. “regolamento claims”).

Analisi del caso
L’Agcm, a seguito di apposita istruttoria, sanzionava alcune ditte produttrici di gomme da masticare per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta, consistita nella diffusione di numerosi messaggi promozionali ingannevoli, fra l’altro caratterizzati dall’utilizzo di claims salutistici non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni di cui al regolamento CE n. 1924/2006.

Nel dettaglio, rilevava come a fronte di prodotti – quali le gomme da masticare – inidonei a produrre effetti protettivo-salutistici per l’igiene dentale, ulteriori rispetto a quelli concernenti la neutralizzazione degli acidi della placca, i professionisti avessero nondimeno costruito la campagna pubblicitaria in esame in modo da focalizzare l’attenzione del consumatore, in via prevalente o esclusiva, sulle caratteristiche igienico-sanitarie degli stessi, invero presentati come assimilabili o sostituibili alle normali pratiche di pulizia orale.

Avverso il provvedimento sono insorte le società interessate, dapprima contestando l’applicabilità, alla fattispecie in esame, del Codice del consumo e, dunque, la competenza dell’Autorità a irrogare la relativa sanzione, stante l’esistenza di disposizioni specifiche in tema di etichettature e integratori alimentari, parimenti tese alla tutela del consumatore e provviste di un autonomo corredo sanzionatorio.

Le ricorrenti hanno inoltre evidenziato come l’Autorità, nel valutare il contenuto dei messaggi promozionali, avesse fatto riferimento a una disciplina ratione temporis inapplicabile, ovverosia al regolamento UE n. 432/2012, relativo alla compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari, diverse da quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini.

La soluzione
Il T.A.R. ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure fatte valere avverso il giudizio di ingannevolezza della pratica commerciale. Segnatamente, ha in primis evidenziato come la disciplina in materia di etichettature e di integratori alimentari di cui al regolamento CE n. 1924/2006 e quella concernente le pratiche commerciali scorrette di cui al D.Lgs. n. 206/2005 siano tra loro complementari e non alternative.

Ragione per cui, è ben possibile che l’Agcm valuti la scorrettezza di una pratica commerciale, anche alla luce dei criteri generali e delle specifiche prescrizioni di cui al citato regolamento. Non a caso – ha proseguito il G.A. – il regolamento CE n. 1924/2006, nel dettare la disciplina concernente le indicazioni nutrizionali e sulla salute utilizzabili nelle etichettature, nelle presentazioni e nelle pubblicità dei prodotti alimentari immessi sul mercato comunitario, fa comunque salve le disposizioni di cui alla direttiva 450/84/CEE in materia di pubblicità ingannevole.

Superata, per tal via, la doglianza relativa alla presunta incompetenza dell’Agcm, il Collegio è passato a esaminare quella concernente l’illegittimità del giudizio espresso dall’Autorità con riferimento ai claims salutistici utilizzati nella campagna pubblicitaria.

A tal riguardo, il Tribunale ha da subito rilevato come, in ossequio a quanto previsto dall’art. 28, c. 5 del regolamento CE n. 1924/2006, fino all’adozione da parte della Commissione europea, previa consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dell’elenco recante l’individuazione delle indicazioni sulla salute – diverse da quelle che si riferiscono alla riduzione del rischio di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini – consentite nelle comunicazioni commerciali, le stesse potessero essere comunque fornite sotto la responsabilità degli operatori economici, purché fossero conformi al regolamento e alle vigenti disposizioni nazionali.

In ragione di tanto, ha ritenuto che l’Autorità, nel procedere alla valutazione circa la legittimità delle indicazioni sulla salute inserite nella campagna pubblicitaria alla luce dei pareri adottati dall’EFSA, non avesse ritenuto vincolanti prescrizioni approvate in tempo successivo alla commissione dei fatti.

Se invero era indubbio che alcune delle indicazioni contenute nei citati pareri erano poi confluite nel regolamento UE n. 432/2012, questo ratione temporis inapplicabile, era parimenti pacifico che l’Agcm avesse utilizzato i pronunciamenti dell’EFSA, già approvati al tempo della trasmissione della campagna in esame, unicamente in ragione del fatto che gli stessi rappresentassero la più alta e pertinente produzione scientifica oggettivamente operante in ambito comunitario e che dunque fossero idonei a fungere da parametro di valutazione dei claims salutistici nel periodo transitorio introdotto dal succitato art. 25. Il G.A. ha difatti ricordato come l’art. 13, par. 1 del medesimo regolamento preveda, in termini generali, che le indicazioni sulla salute che qui occupano possono essere fornite senza essere oggetto delle procedure di autorizzazione di cui agli articoli da 15 a 19, purché siano basate su prove scientifiche generalmente accettate e risultino ben comprese dal consumatore medio.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi

La pronuncia in rassegna offre lo spunto per soffermarsi sulla quaestio concernente la competenza dell’Agcm in materia di pratiche commerciali scorrette, a fronte di condotte che risultino nel contempo disciplinate da specifiche norme settoriali.
Viene a tal proposito in rilievo una disposizione normativa di recente adozione. Il riferimento è al c. 1-bis dell’art. 27 del Codice del consumo, inserito dall’art. 1, c. 6, lett. a), D.Lgs. n. 21/2014, il quale dispone che “anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente”.

Il citato art. 19, c. 3 – dal canto suo – prevede che, in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie o nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni in materia contenute nel Codice del consumo e si applicano a tali aspetti specifici.

Dall’interpretazione del combinato disposto delle due norme emerge pertanto che laddove alcune delle condotte integranti una pratica commerciale scorretta ex art. 20, D.Lgs. n. 206/2005 risultino disciplinate da disposizioni aventi un contenuto diverso rispetto a quelle sul proposito dettate dal Codice del consumo, ben possono le stesse applicarsi – ad esempio ai fini dell’esatta qualificazione della fattispecie – ferma restando, in ogni caso, la competenza dell’Agcm a intervenire nei confronti delle stesse, che, ai fini dell’attuazione della tutela amministrativa e giurisdizionale, perdono dunque la loro autonomia, venendo considerate quali elementi costitutivi di un più grave e più ampio illecito anticoncorrenziale.

Orbene, tale assetto normativo pare fornire ulteriore sostegno alla conclusione attinta dal T.A.R. capitolino circa la competenza dell’Agcm a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale, nel caso in cui la stessa sia consistita nella diffusione di messaggi promozionali fra l’altro caratterizzati dall’utilizzo di indicazioni sulla salute (cd. claims salutistici) non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni di cui al regolamento CE n. 1924/2006. In tali evenienze, per vero, la violazione delle disposizioni di cui al citato regolamento concorre, insieme ad altri elementi, alla realizzazione di una condotta vietata ben più grave per entità e per disvalore sociale, ovvero di una pratica commerciale scorretta. Ragion per cui dovrebbe – nel caso di specie – venire in rilievo la disposizione di cui al citato art. 27, c. 1-bis, D.Lgs. n. 206/2005.
Tar Lazio, sez. I, sentenza 3 gennaio 2017, n. 62
Fonte: Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer.

 

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