Convivenza di Fatto

Convivenza di Fatto

Domanda di alimenti al convivente improponibile nel giudizio sulla responsabilità genitoriale

Poiché l’art. 40 c.p.c. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione, è esclusa la possibilità del simultaneus processus tra la domanda di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale e la domanda di alimenti del convivente di fatto.

Parte ricorrente promuove controversia avente ad oggetto un cumulo processuale di domande giudiziali: introduce contestualmente una domanda avente ad oggetto la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minori e una domanda di alimenti.

La controversia avente ad oggetto il conflitto genitoriale in caso di figli nati fuori da matrimonio è regolata dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 337-bis e ss c.c. e dalle norme di diritto processuale di cui all’art. 38 disp. att c.c., come riscritto dall’art. 3, comma 1, L. n. 219/2012.

Per l’effetto, nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano gli artt. 737 e ss. c.p.c.: il Tribunale competente provvede in composizione collegiale, in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente; sussiste competenza funzionale del Tribunale. La controversia in materia di alimenti è regolata, invece, dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 433 e ss. c.c. e dalle norme processuali di cui agli artt. 163 e ss c.p.c. E’ competente il giudice ordinario in composizione monocratica, senza intervento del P.M. L’azione va introdotta con atto di citazione.

Nelle cause per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni (art. 13 c.p.c.). All’istituto degli alimenti va certamente ricondotta la domanda alimentare del convivente di fatto, come riconosciuta dall’art. 1 comma 65 della L. n. 76/2016.

Alla luce dei riferimenti normativi sin qui illustrati, va dichiarata la inammissibilità della domanda ex art. 1, comma 65, L. n. 76/2016: l’art. 40 c.p.c. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (art. 31, 32, 34, 35 e 36), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi; conseguentemente, ad esempio, è esclusa la possibilità del “simultaneus processus” tra l’azione di separazione o di divorzio e quelle aventi ad oggetto, tra l’altro, la restituzione di beni mobili o il risarcimento del danno, essendo queste ultime soggette al rito ordinario, autonome e distinte dalla prima.

L’orientamento è stato ribadito anche di recente, dalla Suprema Corte e, applicato al caso di specie, osta alla trattazione della domanda alimentare che deve essere introdotta in autonomia davanti al giudice competente.

Gli argomenti svolti dalla ricorrente per giustificare il cumulo non paiono sufficienti per discostarsi dall’interpretazione dei giudici di legittimità: l’opportunità della trattazione contestuale delle due cause se, da un lato, evita ai conviventi una pluralità di processi, d’altro canto, rischia di rallentare e appesantire la trattazione della controversia minorile, alla quale il Legislatore riserva un regime accelerato e semplificato al fine di consentire al giudice del conflitto genitoriale di pervenire velocemente a misure regolative definitive.

Se in occasione della domanda minorile il giudice dovesse anche istruire la causa di alimenti, questa finalità sarebbe se non compromessa quanto meno frustrata. Nel caso di specie va, peraltro, rilevata ex officio l’ulteriore questione relativa alla ammissibilità della domanda per difetto di diritto d’azione.
La L. n. 76/2016 ha introdotto nell’ordinamento il diritto agli alimenti in favore del convivente con decorrenza dal 5 giugno 2016 (data di entrata in vigore delle nuove norme); pertanto, una pretesa alimentare del convivente more uxorio è possibile solo per quelle convivenze che siano cessate a partire dal 5 giugno 2016: il diritto alimentare, infatti, nella convivenza di mero fatto, sorge nel momento in cui si verifica lo stato di bisogno e coincide, dunque, con la cessazione del legame. Nell’ipotesi di specie, la ricorrente non ha allegato e nemmeno invero indicato la data storica di riferimento e si tratta di elemento costitutivo della domanda che grava sull’alimentando. Se la convivenza ha avuto termine prima del 5 giugno 2016, un diritto sostanziale di alimenti nemmeno è previsto dalla legge vigente ratione temporis.

L’ordinanza in rassegna si segnala perché costituisce una delle prime applicazioni della nuova disciplina sulle convivenze di fatto, introdotta dalla L. 20 maggio 2016, n. 76.
In particolare, viene in rilievo il comma 65 dell’art. 1 della legge citata, il quale prevede che, “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento”. Il legislatore definisce anche durata, misura, ordine degli alimenti, prevedendo che essi siano assegnati “per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 428, secondo comma c.c.”. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’art. 433 c.c., l’obbligo alimentare del convivente è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

La disciplina degli alimenti, che riconosce al convivente meno abbiente una tutela patrimoniale proporzionata alla durata del rapporto, costituisce il corollario, sul piano patologico, del dovere di solidarietà tra conviventi durante il corso del rapporto.
Secondo una parte della dottrina (L. Lenti, “Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri”, in Famiglia e Diritto, 2016, 10, 931), questa è la norma di gran lunga più importante dell’intera disciplina della convivenza di fatto: è un riconoscimento chiaro e forte, sul piano delle conseguenze giuridiche, di quanto una relazione di coppia possa aver inciso sulla traiettoria esistenziale delle persone che la vivono, anche se non formalizzata nel matrimonio. A cura della Redazione Wolters Kluwer, Quotidiano Giuridico

Riferimenti normativi:
Art. 31 c.p.c.
Art. 32 c.p.c.
Art. 34 c.p.c.
Art. 35 c.p.c.
Art. 36 c.p.c.
Art. 1, comma 65, L. 20/05/2016, n. 76
Precedenti giurisprudenziali:
Trib. Milano sez. IX civ., sentenza 06/12/2013
Trib. Milano sez. IX, sentenza 03/07/2013
Cass. civ. sez. I, 21/05/2009, n. 11828
Cass. civ.sez. I, 22/10/2004 n. 20638
Cass. civ. sez. VI-I civ., ord. 24/12/2014, n. 27386
Tribunale di Milano, sez. IX civ., ordinanza 23 gennaio 2017

Avvocato Francesco Murru
Business Lawyer
per la tutela dei Tuoi Diritti,
della Tua Azienda e della Tua Famiglia.
Via C. Battisti, 33 – Bologna
Info 335 599 5903