Bevr’in Vin

Bevr’in Vin

Non possiamo non segnalare anche un’usanza, detta surbìir nel reggiano- modenese – mantovano, in altre zone surbièer (Parma) o bèvvr in vin (Lombardia), che spesso lascia assai perplessi gli ignari convitati. Si tratta dell’uso di versare mezzo bicchiere di lambrusco in una fumante scodella di cappelletti, o anche altra minestra in brodo.

E’ una tradizione di antichissima origine contadina, che vanta ancora oggi rari, ma convinti e irriducibili estimatori. Al surbìir nasce perché una volta il brodo era particolarmente grasso ed il tannino naturale del vino contribuiva ad ovviare alla sensazione viscida sul palato.

L’odore che esce da tale mistura è caratteristico e penetrante, quasi acetico. Il mefitico effluvio, abbinato alla vista della pasta e del brodo ormai violacei, non di rado provoca disgusto fra i vicini di tavolo. Costoro, inorriditi, scherzosamente potranno innalzare e stendere il proprio tovagliolo a guisa di paratia protettiva, inibendo l’infausta vista della scodella e accompagnando il clamoroso gesto con espressioni di disgusto e maleparole.

Ciò rende comune e quindi non maleducata o irrispettosa, la pratica di scucchiaiare tale piatto in piedi e di spalle, velocemente, un po’ vergognosi e ripiegati su se stessi.
Esistono però proverbi e poesie che testimoniano la beneficità di questo piatto: Chi mètt al vèin ind la mnèestra, al salutta al dutóor da la fnèestra (Chi mette il vino nella minestra saluta il dottore dalla finestra).

O anche:
Dòop d avéer surbìi un surbìir  
Dopo aver degustato il surbìr

Sa t gh èe un po’ d malincunìa  
Se hai un po’ di malinconia

Sensa trar tanti suspìir
Senza fare tanti sospiri

La t andrà sens altar via
Ti andrà senz’altro via

Dalla poesia Al bevr’in vin di Enzo Boccola da Rusch e brusch Ed. Al Fo

Il vino nel brodo, era usato specialmente, nelle famiglie contadine nelle feste, nelle sagre e nei matrimoni, veniva servita la prima cotta dei cappelletti con vino, come aperitivo/antipasto, agli uomini.

In genere era il capofamiglia, a decidere quando era a giusta cottura con un apposito assaggio, e s a l giva “L’è còota!”, al reṡdóori i purtèeven in tèevla, e in quel momento l’assaggio veniva esteso agli altri uomini.

E’ mia opinione ritenere al surbìir sia una simpatica tradizione, ma anche un vero e proprio assassinio, sia del brodo che dei cappelletti, in particolare per me che per assaggiare il vero gusto del brodo non aggiungo nemmeno il parmigiano nel piatto fumante.Anche se come è noto sui gusti non si dovrebbe discutere.

“Mò ‘sa surbèlet? Surblòun!” Ma cosa tiri su? “Sorbellone”?

Nel caso poi si avesse la digestione un po’ problematica e si fosse anche in pieno inverno, il bisnonno Quintino Compagnoni, ai primi del ‘900, accingendosi alla prima cucchiaiata davanti a una scodella fumante di minestra in brodo, era solito pronunciare una frase incredibilmente bella:

<<’Na bòuna mnèestra in bròod l’umillia la góola e la bràasa al stòmmegh>>, che si può tradurre con una salutare azione di calmante assestamento e di benefico tepore per la gola (soprattutto col freddo stagionale) e in un palpitante abbraccio per le pareti dello stomaco, grazie all’effetto di una buona e calda minestra, predisponendo positivamente quest’ultimo anche per successive cibarie.

Mauro D’Orazi
Esperto in Dialetto Carpigiano