L’assaggiatore del Cappelletto

L’assaggiatore del Cappelletto

Mi piace ricordare il fatto che in occasione del pranzo di Natale vengo sempre chiamato in cucina per svolgere un compito di altissimo livello: si tratta di assaggiare un cappelletto di prova. Già alcune ore prima avevo dato il mio preventivo parere sul pesto e sul brodo. Ma adesso, giunti alla fine del complesso percorso, mi viene offerto un cucchiaio con un esemplare fumante.

A l sò! I mé agìint! L è un lavóor impegnatìiv, mò un quelchidùun al gh l à pur da fèer!

Lo so! Cari i miei lettori! È un lavoro impegnativo, ma qualcheduno lo deve pur fare!

Con delicatezza, anche per non ustionarmi, lo assaggio. Mi piace che sia ancora abbastanza consistente e che il dente affondi con una leggera, ma ben percettibile resistenza. Ne tasto la compattezza, schiacciandolo delicatamente coi molari… due secondi di assoluto silenzio, sguardo estatico e ispirato rivolto all’infinito, in diretto collegamento esoterico con le anime e lo spirito genuino delle reṡdóore di ogni tempo.

Gli occhi delle cuoche mi guardano spalancati, fissi e preoccupati… in attesa. “L è còot!! Chèeva!! “…“L è còot!! Ṡmòorsa!! “ pronuncio le frasi in modo solenne, col cucchiaio alzato e benedicente. “Si proceda all’immediato scodellamento!”. L’antico e benedetto rito ha inizio: tutti si siedono e si preparano ad allungare i piatti. La reṡdóora (“Atèinti! A gh è la pgnaata buìinta!”) colloca la grande pentola fumante sulla tavola e con un capiente mestolo comincia a servire. Una catena di piatti comincia a muoversi con adeguata ritmica cadenza, per agevolare l’operazione; passano di mano in mano, prima vuoti e poi pieni. “Attenzione a non rovesciare il brodo!” è la raccomandazione. Finché ognuno ha davanti la sua minestra. “Chi vuole il formaggio grattugiato?” Finalmente si mangia e i cucchiai si immergono avidi e veloci nei piatti che prestissimo saranno di nuovo vuoti.

Un mistico silenzio regna nella sala, rotto solo dallo scuciarèer ind i piàat (scucchiaiare nei rispettivi piatti).

Qualcuno, ad alta voce dichiara ufficialmente: “Óo i iin dimònndi bòun st aan! Aanch al bròod!  L è d capòun, ruspàant, cumprèe da un mè amìigh cuntadèin in campaagna!  Al m al tiin pròopia per mè tutt i aan! Al furmàii dal pisst, pò…, l è d primma qualitè! “Un 36 mesi” specèel d un caṡeifissi cun duu nummer, pròopria giusst giusst pèr fèer di graan caplètt.”

Una serie di conferme segue immediata, con espliciti e convinti movimenti assertivi delle teste. Le bocche, infatti, NON parlano, impegnate nella degustazione. Le cuoche, che Dio al li bendissa in seculaseculòorum, sorridono soddisfatte; chi ha procurato con esperienza e astuzia i preziosi e pregiati ingredienti… anche.

Chi mangia… ancor di più. Ehee sì!! Sono rari e preziosi simili momenti di gioia collettiva e condivisa. Bisogna goderseli in piena consapevolezza: un prezioso dono offerto alle nostre esistenze troppo spesso piene di affanni, preoccupazioni e dolori.

Circa l’uso di informaggiare il cappelletto è antica e irrisolta questione. “Bròod èd galèina buìint e caplètt… mò s te n gh mètt ’na branchèeda èd furmàai in simma… pèr mè… te ruvìin incòosa.” Questo è un punto fermo per il consumatore tradizionale, che aggiunge il pregiato elemento locale per completare e arrotondare il sapore del piatto.

Invece c’è chi, come me, lo evita con motivata decisione: questo perché si desidera gustare puro e originale, sia del brodo, che del cappelletto.

Se il brodo è buono, preferisco sentirne a pieno il gusto originale e vederlo bello, giallo e limpido cun un quèelch òoc’; ma… la mia è una posizione di consapevole minoranza.

S a gh mètt al furmàai a vóol diir ch a nn andòom mìa dimònndi bèin e c’è da correggere qualcosa che è scarso e modesto.

Per evitare che i cappelletti non serviti i se spapèelen (si spappolino), è assolutamente necessario che vadano subito tirati su dal brodo con apposito attrezzo forato e a richiesta serviti per un bis con aggiunta di successiva mestola di solo brodo ancora bello caldo.

Chi potrà resistere a un secondo piatto di questa prelibatezza ? 

L’unica ombra di tristezza, sta nel guardarsi intorno e accorgersi con sgomento dei posti vuoti ai bordi del lungo e ricco tavolo natalizio. Qualcuno non c’è più! Se osserviamo il cielo dalle finestre della grande sala imbandita, ci piace pensare che anche loro ci guardino.

Spesso li ricordiamo la notte, quando fissiamo il buio e le stelle… una data, una voce, una frase, uno sguardo, una canzone, un luogo, un cibo, un odore, un’auto, un film visto assieme…

Mà  :=(((… Ch a s pièeṡa o no, biṡòggna andèer avaanti… mò ch fadiiga… i mè ragàas !

Mauro D’Orazi
Esperto in Dialetto Carpigiano